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La scienza in celluloide episodio 12: La vita nello spazio è davvero possibile?

Continua la serie dedicate ai viaggi. Su questo episodio vedremo come non solo il cinema ma anche alcune aziende private (SpaceX, Blu Origin) e organizzazioni pubbliche (NASA, ESA) ritiengono i viaggi lunari e mariziani long term non solo tecnologicamente possibili ma essenziali per l'uomo. Ma davvero l'essere umano è destinato a colonizzare altri pianeti?




Aprire un market su Marte? Perché no....

Il nostro grado di civiltà e le nostre conoscenze attuali ci permettono di colonizzare pianeti diversi dalla Terra o comunque sopravviverci per lunghi periodi?


Il cinema dice di sì. Naturalmente. Ma non sono sole le decine di pellicole incentrate proprio su questo tema a confermare la possibilità di estendere i confini dell’esplorazione spaziale verso altri mondi; ci sono aziende, organizzazioni e opinion leader che intravedono nella colonizzazione di pianeti o satelliti del sistema solare, il futuro di un’umanità che cresce troppo velocemente rispetto alla disponibilità delle risorse offerte dal nostro pianeta.


Elon Musk, il poliedrico miliardario proprietario tra le altre cose di Tesla e SpaceX, ha recentemente pubblicato sulla sua piattaforma X un video in cui spiega i piani prossimi della sua società aerospaziale per portare i primi uomini su Marte entro 4 anni, aggiungendo che il numero dei voli crescerà  esponenzialmente, con l'obiettivo di costruire una città autosufficiente in circa 20 anni.


Ma non è solo il neo consigliere di Trump a crederci. La NASA è da tempo che sta studiando una serie di progetti non esclusivamente definibili del tipo mordi e fuggi, ma ambiziosamente destinati a diventare nel tempo delle vere e proprie colonie. Il progetto Artemis ad esempio intende portare in maniera quasi stabile astronautici sulla luna. Artemide è appunto al dea greca protettrice proprio del nostro satellite.

La Cina non intendente certamente stare fuori dalla gara. Ha infatti dichiarato che nel 2028 la missione Tianwen-3 sarà in grado di recuperare del materiale marziano e cinque anni più tardi portare un vero e proprio equipaggio.



Film come Mission to Mars del 2000 e diretto da Brian De Palma, Atto di Forza del 1990 di Paul Verhoeven e tratto da un racconto di Philippe Dirk, Pianeta Rosso di Antony Hoffman uscito anche questo nel 2000, fino a uno degli ultimi, The Martian - Il sopravvissuto del 2015 con la regia di Ridley Scott, hanno a loro modo anticipato degli eventi che presto, molto probabilmente, saremmo in grado di vivere nella realtà. O forse no.


Il cinema è cinema e pertanto cause ed effetti che hanno portato al successo o insuccesso alcune delle pellicole citate, non devono far travisare l’essenza di ciò che ci accingiamo a discutere.

E cioè: l’uomo può sopravvivere fuori della terra per lunghi periodi, visto che -parafrasando l’incipit del film Gravity - nello spazio la vita non può esistere?


Il mondo della celluloide come ovvio che sia non si preoccupa dei problemi che possono essere legati ai viaggi spaziali, alle condizioni estreme, fisiche e psichiche che i nuovi Magellano saranno costretti ad affrontare.

Ma la scienza non può non tenerne conto.


Il corpo umano non è adatto allo spazio. Il volo spaziale danneggia

il DNA, modifica il microbioma, interferisce con i ritmi circadiani,

altera la vista, aumenta il rischio di cancro, provoca danni

a muscoli e ossa, inibisce il sistema immunitario, indebolisce il

cuore e sposta i liquidi verso la testa, il che a lungo termine può

essere patologico per il cervello. E questi sono solo alcuni degli

effetti.


Alcuni esperimenti condotti sulla stazione spaziale internazionale hanno dimostrato come in condizioni di microgravità, i vasi sanguigni diretti al cervello tendono a irrigidirsi ed è una delle cause perchè gli astronauti al ritorno sulla terra presentano difficoltà a deambulare in modo autonomo. E se sbarcassero su Marte dopo 5 mesi di viaggio, come potrebbero uscire da soli dalle loro capsule senza aiuto?

Anche il sistema immunitario tende ad essere infiacchito ma a questo potrebbero esserci rimedi.

Ma ci sono effetti più complessi da gestire, come ad esempio i problemi alla vista. In condizioni di gravità ridotta i bulbi oculari tendono ad appiattirsi dando origine a quella che è conosciuta come SANS: sindrome neuro-oculare associata al volo spaziale,


E il sistema musco-scheletrico, costituito da  muscoli e le ossa,  come reagisce a lunghi periodi nello spazio?

Senza una forza da contrastare, gli astronauti possono subire una perdita del tessuto osseo a una velocità maggiore di quella a cui crescono, mentre i muscoli si atrofizzano.Ecco perché devono allenarsi per ore ogni giorno usando attrezzi specializzati che simulano alcune delle forze che la loro anatomia percepirebbe al suolo, ma anche questo allenamento non compensa completamente le perdite.


Ma il problema più serio è rappresentato dalla radiazioni. Il rischio è piuttosto limitato per gli astronauti della ISS che viaggia nell’orbita bassa terrestre, circa a 400 km dal suolo, ma diventerebbe una priorità nei viaggi spaziali di lunga durata

Ci sono due fonti di radiazioni da tenere sottocchio . Quelle provenienti dal sole sotto forma di protoni e che hanno la caratteristica di interagire con gli organismi danneggiando il DNA. E queste radiazioni purtroppo hanno i loro picchi di emissione durante le tempeste solari, difficili da prevedere.

Poniamo ad esempio che un gruppo di nuovi coloni lunari stia lavorando sulla superficie, avrebbero circa 20 o 30 minuti per mettersi al riparo in caso di un flare solare. Non granché. E cosa gli accadrebbe qualora ne fosse esposto? Sicuramente la nausea sarebbe il primo effetto con la disastrosa conseguenza di vomitare dentro la tuta, cosa questa che inevitabilmente  metterebbe a serio rischio la sua vita. Poi verrebbe compromesso il sistema immunitario e la capacità da parte del sangue di portare ossigeno ai tessuti.

Insomma un quadro non proprio idilliaco

Ma se pensate che la radiazione solare sia tosta, non avere ancora visto quello che posso fare le radiazioni cosmiche,  che sono generate da eventi celesti importanti come ad esempio le supernove. E queste radiazioni sono ben difficili da contenere visto che sono caratterizzate da particelle ad elevata energia e massa superiore a quella dei protoni. Inoltre, barriere protettive potrebbero causare effetti ancora peggiori visto che la collisione con i raggi cosmici genererebbe  particelle più piccole e letali.


Pensiamo a un viaggio spaziale di un certa durata come ad esempio quella che ci separa da Marte. L’ipotesi di essere colpiti da radiazioni cosmiche non è proprio così remota. Probabilmente l’effetto sarà minimo sul corpo umano ma nel tempo - se consideriamo un viaggio che preveda tempi di esposizione lunghi, l’accumulo di radiazioni potrebbe rappresentare un vero problema.


Ma la comunità scientifica è piuttosto ottimista nella capacità dell’uomo di risolvere alcuni dei problemi che possano arrecare danni al corpo ma lo è un po’ meno quando si affrontano quelli relativi alla psiche.

In un articolo del 2021 scritto da alcuni ricercatori dell’Università di Pisa e pubblicato su Clinical Neuropsychaitry - affermano che sulla base dei dati raccolti sui viaggi spaziali  i pericoli che  gli astronauti potrebbero dover affrontare non sono minimi e gli impatti sulla salute fisica e mentale significativi. Nello specifico: sintomi di disregolazione emotiva, cognitiva

disfunzione, interruzione dei ritmi sonno-veglia, fenomeni visivi e significativi

i cambiamenti nel peso corporeo, insieme ai cambiamenti morfologici del cervello, sono alcuni dei eventi segnalati più frequentemente durante le missioni spaziali.

Ma non sono solo gli effetti psichici e fisici del viaggio spaziale a preoccupare; anche il rientro desta qualche preoccupazione.

Nel 1991 otto persone parteciparono al progetto Biosphere II, un oasi poco più grande di un ettaro, ma completamente isolata dal mondo esterno. Biosphere era concepito come una sorta di giardino botanico in grado si auto-sostenere i partecipanti all’esperimento per due anni.

Purtroppo, l’ambiente sigillato non produceva ossigeno, acqua e cibo sufficienti per le persone che ci abitavano: problemi che, ovviamente, potrebbero incontrare anche i futuri abitanti della Luna o di Marte. La prima missione e una seconda qualche anno dopo fallirono anche per conflitti interpersonali e problemi psicologici tra i residenti.

Uno dei partecipanti confessò che negli otto mesi in cui era stato costretto alla routine di un astronauta,  mancavano la libertà, il cibo e gli amici, ovviamente; ma le vere difficoltà sono giunte con il ritorno al mondo reale

una volta terminato l’isolamento: non ricordava come comportarsi con gli amici, con gli hobby o con il lavoro.


Ora poniamo per un istante che ogni tipo di problema possa essere risolto e la sicurezza dei nuovi esploratori spaziali quantomeno salvaguardata, un’altra cosa e non da poco, deve essere tenuta in mente.

Il costo.

Chi sarà in grado di sostenerli?

Le aziende private come SpaceX di Elon Musk o la Blu Origin di Jeff Bezos  attualmente vivono di commesse pubbliche, in particolare la prima, anche se stanno tentando un approccio più commerciale offrendo voli cosmici a ricchi miliardari che possano permetterselo. Ma questo non piò in nessun caso giustificare un business focalizzato sull’esplorazione spaziale.

Tendiamo a paragonare l’esplorazione spaziale all’espansione

sulla Terra, a un ampliamento delle frontiere.

Quando i coloni americani si spingevano nel Far West, cercavano

per esempio, oro o nuove terre coltivabili, mentre nello spazio gli esploratori non possono essere sicuri di quello che avrà da offrire la destinazione.

Si parla spesso di creare degli insediamenti umani sul suolo lunare. Il già citato  progetto Artemis, ha come scopo lo stabilimento di una base lunare nel cratere meteoritico che si trova nei pressi del polo sud del satellite, intitolato all’esploratore Ernest Henry Shackleton. Gli scienziati lo chiamano anche il cratere della notte eterna. L’ombra permanente all’interno porta ad una bassa temperatura: che ha catturato e congelato i componenti volatili emessi da corpi celesti quando colpivano la luna. Il progetto Artemis, proprio sulla base di rilevazioni condotte da satelliti avvenute oltre vent’anni fa, si prefigge l’estrazione di ghiaccio lunare e in un secondo momento di elio-3 come combustibile per ottenere energia di fusione a basso costo.

Ma al momento queste sono solo alcune ipotesi ed è per questo che questa tipologia di esplorazioni spaziali non hanno ancora, permettetemi la battuta, preso il volo.

Il rapporto tra costi e benefici attesi è ancora troppo spostato verso i primi e pochi sono i soggetti, pubblici e privati, a sostenere dal punto di vista economico spese così elevate senza un piano preciso di ritorno degli investimenti.

Forse la competizione tra le superpotenze, in particolare USA e Cina, porterà a un rincorsa verso una nuova geopolitica spaziale, ma nessuno attualmente sarebbe nemmeno in grado di caricarsi i costi esorbitanti del progetto Apollo, che ha portato l’uomo sulla luna, circa 30 miliardi di dollari che oggi corrisponderebbero a 150 miliardi. E la Luna per così dire è dietro l’angolo.


Bibliografia

Long-term space missions’ effects on the human organism: what we do know and what requires further research, Frontiers in Phsysiology 2024; DOI 10.3389/fphys.2024.1284644

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