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La scienza in celluloide podcast: Nastri e Metropolitane


Aprendo il libro di matematica e geometria delle superiori mi sono imbattuto nella definizione di superficie.

OK, mi direte: niente di meglio da leggere? E vi rispondo che avete ragione ma quando si sta per fare un trasloco vi vengono una mano cose, oggetti e ovviamente libri di una vita,

Comunque, secondo la geometria cosiddetta tradizionale le superfici sono bilaterali, hanno perciò due facce: una superiore e una inferiore, o una interna e una esterna.

Per una formica che zampetta su un foglio e che voglia passare dall’altra parte, dovrà necessariamente scavalcare il bordo del foglio.

Penso che il concetto sia semplice e facilmente comprensibile per tutti no? In geometria queste superfici sono dette orientabili, ma questo è solo un dettaglio.


Ma ora vi chiedo di seguirmi aiutandovi se potete con un nastro o comunque di fare uno sforzo di immaginazione. Allora, prendiamo un nastro di larghezza di qualche centimetro e prima di cucirne le estremità, induciamo sui capi mezzo giro di torsione.

Se proviamo a percorrere con un dito tutta la superficie dell’anello ottenuto, scopriamo che ritorniamo al punto di partenza senza mai staccare il dito. Per l’esattezza avremo costruito il nostro personalissimo nastro di Mobius, che prende il nome dal suo scopritore, il matematico e astronomo tedesco August Ferdinand Möbius vissuto tra la fine del 1700 e il 1800.



Questa cosa ha aizzato non poco gli artisti scatenandone la fantasia Pensiamo ad esempio al “pittore matematico” Mauritius Cornelius Escher che ha introdotto questa forma curiosa in molte sue opere. La più famosa è proprio un anello di Möbius percorso dalle formiche. Alla fine otterremo un nuovo oggetto che ci ricorderà il simbolo di infinito con la ormai ben nota forma a otto.


Lo so, sembra una cagata descritta in questo modo ma vi assicuro che non lo è. A volte le cose apparentemente semplici nascondono implicazioni molto più complesse


Ad esempio lo studio del nastro di Moebius è stato molto importante per la storia della matematica” e ha contribuito a porre le basi della scienza chiamata topologia.

E no. Qui i roditori non centrano per nulla. La topologia - il cui nome deriva del greco: topos che significa luogo e logos naturalmente studio, è una branca della matematica che studia le proprietà delle figure, e in generale degli oggetti matematici, che non cambiano quando viene effettuata una deformazione senza "strappi", "sovrapposizioni" o “incollature". Ma portando a un livello più pratico la topologia studia le conformazioni dei terreni e del suolo e forse questa è la definizione che i più di noi riconoscono.

Ma tornando al nastro di Moebius e alle sue implicazioni, diciamo più pratiche, non possiamo a non pensare alla sua applicazione nei nastri trasportatori costruiti come un cilindro dove l’unica parte ad essere sfruttata, e quindi a consumarsi sarà la superficie interna.. Al contrario se usiamo un nastro di Möbius la superficie sfruttata sarà doppia, conseguentemente, partendo dalla stessa quantità di materia prima, potremo usare quel nastro per il doppio del tempo rispetto ad uno normale.E potremmo citare tanti altri esempi in cui il nastro di Moebius trova applicazioni pratiche.


Però questo podcast parla della connessione tra scienza e cinema e di quest’ultima, in questo episodio, non ne abbiamo ancora parlato.

Arriviamoci a piccoli passi allora.

L’astronomo e scrittore di fantascienza inglese Armin Joseph Deutsch nel 1950 pubblicò un racconto breve dal titolo tradotto ‘Una metropolitana chiamata Mobius’, in cui un treno della metropolitana di Boston scompare con tutti i suoi passeggeri a bordo. Semplicemente scompare nella infinita complessità topologica della rete metropolitana. Attraverso una singolarità nel sistema, finisce in una dimensione parallela. Questo secondo la versione di un professore di matematica, Tupelo, che colpisce per i suoi modi garbati contro l’esagitazione del direttore della metropolitana che si è visto sparire un treno, l’86, con 400 persone a bordo.

Circa mezzo secolo dopo, nel 1996, Una metropolitana chiamata Moebius è diventato il soggetto di un film del regista argentino Gustavo Mosquera che nel suo film metterà in evidenza alcuni elementi del racconto. In una intervista dirà:


“Avevo letto un racconto di A.J. Deutsch che si chiama Una metropolitana chiamata Moebius e che mi aveva colpito. Aveva quattro elementi fondamentali: primo, che in una rete chiusa di sotterranei un treno non possa scappare, pertanto la sua scomparsa implica qualcosa di più. Secondo, il fatto che non si veda la città in superficie permette un’ambientazione atemporale. Terzo, il racconto presenta un’ambiguità tra fantascienza e fantasia e, non concludendo il racconto con un finale chiuso, permette un maggiore mistero. Quarto, le connotazioni sociali che comporta, in un paese come il nostro, l’idea di “sparizione” di un treno”


Il regista, che è anche un professore ha realizzato il film in collaborazione con gli studenti dell’Universidad de Cine di Buenos Aires, ed è stato accolto in maniera un po’ tiepida dalla critica ancor meno dal pubblico a tal punto che a parte alcuni passaggi nelle televisioni, ai più risulta completamente sconosciuto ma per coloro che ne fossero incuriositi si può trovare una versione full in lingua italiana su YouTube.

La trama in parte ripropone il soggetto del racconto inglese ma naturalmente ambientato nella capitale argentina.


ATTENZIONE SPOILER

Un giovane topologo di nome Daniel Pratt viene incaricato di indagare sulla misteriosa scomparsa di un treno nella metropolitana di Buenos Aires. Dopo un incontro con il direttore e con dirigenti statali, Pratt ricerca i progetti relativi ai lavori dell'ultimo ampliamento della rete e scopre che un suo vecchio professore dell'Università ha ideato il progetto e che ha preso le copie dello stesso. Dopo averlo cercato inutilmente all'Università riesce ad entrare nel suo appartamento con l'aiuto di una ragazzina che poi lo seguirà nelle sue ricerche. Studia quindi il materiale trovato in casa del suo professore, e da buon topologo ipotizza che il treno sia scomparso a causa dell'elevata complessità topologica della rete che ha generato una sorta di nastro di Möbius.

Questa ipotesi non convince le autorità e quindi Pratt, salutata la sua giovane amica, cerca di salire sul treno fantasma. Ci riesce solo quando ha perso le speranze e scopre, una volta a bordo, che i passeggeri sono come in stato di trance, mentre alla guida trova il suo vecchio professore al quale chiede spiegazioni. Il giorno dopo, il treno scomparso viene ritrovato completamente vuoto; per terra, in uno dei convogli, c'è il quaderno degli appunti di Pratt che viene trovato dal direttore della metropolitana. Subito dopo questi viene avvisato che un altro treno è scomparso.



Di tutta la pellicola, tra l’altro nemmeno troppo lunga, forse sono gli ultimi sei minuti quelli più rilevanti e dove, nel dialogo tra Pratt e il professore, dove tra le domande poste dal primo e le risposte date dal secondo, intervallate dal rumore delle rotaie di un treno che le percorre a velocità folle, troviamo tutta l’essenza del film di Mosquera.

Dapprima un tentativo di spiegazione dell’accaduto, mediato da una combinazione di fatti casuali ma posti nel corretto ordine: lo scambio di rotaie giusto, la velocità del treno corretta, il tempo allineato, etc, etc che hanno potuto generare una sorta di gigantesco nastro di Mobius.

A quel punto il topologo fa pressione sull’anziano docente del tipo: Hey prof, ma questa cosa è pazzesca e cambierà il mondo. Tutti devono sapere. Parafrasando: l’applicazione ci farà fare un sacco di soldi, altroché nastri trasportatori.


Ma la saggezza del professore blocca l’intraprendenza del giovane con una serie di pensieri a sfondo filosofico che in soldoni dicono: Eh caro Daniel, la vedo male. E chi ci crederà? Tu ci hai anche provato e si sono sganasciati dalle risate. No, l’umanità non è pronta


E le persone scomparse?

Beh, di questi vivrà il ricordo di loro, di quello che hanno fatto, di come si sono comportate, questo è veramente importante. Vallo a dire alle famiglie….

Ad ogni modo ho trovato questi minuti davvero interessanti e a mio avviso ricompensano lo sforzo di vedere il film che sopratutto nella prima parte non brilla troppo nel ritmo.


Del dialogo tra i due, mi ha colpito in particolare una domanda che il professore rivolge al protagonista che, come lo spettatore, si trova obbligatoriamente un po’ disorientato di quello che sta vivendo e delle conseguenze. Quando viviamo qualcosa di cui non comprendiamo l’essenza il primo sentimento che proviamo è quello delle vertigini. Esattamente quando siamo sul bordo di un precipizio e soffriamo il vuoto non per un fatto di altezza ma di incapacità di immaginare quello che troveremo alla fine del baratro.


”Di cosa ha paura Pratt?"

"Le vertigini"

"E' normale. Nessuno può trovarsi di fronte all'infinito senza provare le vertigini. Nessuno può sperimentarlo senza sentirsi profondamente disorientato."


Un finale che non poteva essere diverso. Un finale aperto che lascia dei dubbi e delle domande. Non tutte le pellicole devono per forza avere delle risposte, no?!


Ascolta il podcast

Bibliografia

The shape of a Möbius strip

  • E. L. Starostin &

  • G. H. M. van der Heijden

Nature Materials volume 6, pages563–567 (2007)

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